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Il formaggio Vastedda, vero sapore siciliano

Immagine del redattore: Dávid IlonaDávid Ilona

Un particolare pecorino a pasta filata della Valle del Belice.

La Sicilia dei formaggi è un universo a sé. Ne parlava già Omero, nell’Odissea, quando fa incontrare

Ulisse con Polifemo nella sua grotta “Entrati nell’antro, osservammo ogni cosa: dal peso dei caci i graticci piegavano… seduto, quindi mungeva le pecore e le capre belanti… subito cagliò una metà del candido latte, rappreso, lo mise nei canestri intrecciati”.

Nell’economia dell’epoca, il formaggio, quale preziosa moneta di scambio, era molto apprezzato a Roma.


La Sicilia, grazie anche alla sua posizione, una sorta di crocevia di uomini e merci nel Mediterraneo, porta con sé stratificazioni di epoche diverse. I Fenici prima, Greci e Romani, e poi Arabi, Normanni, Aragonesi. Proprio uno di loro, Federico II, seppe conferire valore allo sviluppo di pastorizia e agricoltura. Una flora dei pascoli in grado di dare quella marcia in più che sa caratterizzare molti dei prodotti locali, abbinata anche a una singolare biodiversità delle mandrie ovine, come forse nessun’altra realtà nazionale: pinzirita, comisana, barbaresca, della valle del Belìce. Ed è proprio da quest’ultima, nelle terre del Gattopardo, tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento, che incontriamo la vastedda, l’unico pecorino a pasta filata a livello nazionale.


Diverse ipotesi sull’origine del nome del formaggio siciliano Vastedda

Leggenda racconta che, dopo un’estate particolarmente calda, il casaro si accorse che i suoi pecorini stavano andando a male. Preso dalla disperazione di perdere un’intera stagione, li tagliò grossolanamente a fette e li gettò nel calderone dell’acqua calda, nell’estremo tentativo di salvarli, eliminando l’acidità della fermentazione batterica. Fu a quel punto che la pasta cominciò a filare e il casaro iniziò a raccoglierla ponendola nel primo contenitore a portata di mano: alcune fondine su cui la mise a raffreddare. Presero la forma di pagnotte un po’ schiacciate. Da lì tradizione vuole che abbiano acquisito il nome di vastedda, ossia una specie di focaccia. C’è un’altra versione, e cioè che l’etimo derivi dal termine dialettale “vasta”, vale a dire guasta, andata a male, come stava capitando se non fosse avvenuta la casuale intuizione di buttare il formaggio nel calderone.


In realtà, un tempo, la vastedda era prodotta solo nella stagione estiva, quando il latte era insufficiente per dare luogo al tradizionale pecorino. In seguito, anche per il successo ottenuto, la sua produzione è divenuta costante lungo tutto l’anno.

Tuttavia, il fascino della vastedda non è solo dovuto al caso, dai contorni più o meno romanzati. Vi è anche la materia prima, ossia il latte della razza belicina, un incrocio di pinzirita, comisana e sarda.

Vastedda formaggio siciliano
Vastedda formaggio siciliano

La razza belicina è molto produttiva, prolifica e resistente alle avversità atmosferiche

Pecora dalle singolari particolarità: è molto produttiva, grazie a un apparato mammario particolarmente sviluppato. Prolifica (molti i parti gemellari) e ha una spiccata resistenza alle avversità atmosferiche che la rendono ideale nell’ambiente in cui vive. A questo si aggiunge “il fattore campo”, ossia l’ecosistema legato al pascolo. Un’alimentazione ricca di foraggi freschi, con fieno e paglia di qualità, oltre al fatto di potersi nutrire dell’erba lungo i filari e delle foglie di vite raccolte dopo la vendemmia. Non gli si fa mancare nulla, per esempio le frasche della potatura dell’ulivo, i cladodi del fico d’India, ossia quelle curiose pale (impropriamente chiamate foglie), tipiche della pianta. A questo punto entra in gioco la lavorazione, tra l’altro condotta ancora secondo criteri di tradizione, con un arsenale di storici strumenti di lavoro che sono ulteriore valore aggiunto alla storia della vastedda. Dopo una prima fase dove il latte, una volta filtrato, viene riscaldato non oltre i 40° in caldaie di rame stagnato, la massa viene rotta con un bastone di legno (rotula), posta in fuscelle per uno o due giorni, il tempo di favorire un primo spurgo e poi tagliata a listarelle poste in tini di legno (piddiaturi). Si aggiunge acqua calda, rimestando il tutto con una pala di legno (vacillatuma). Una volta estratta dalle fuscelle, è posta su un piano inclinato (tavulieri), dando forma a trecce, adagiate poi su appositi piatti fondi di ceramica. Rivoltata alcune volte sino a che non assume la tipica forma a focaccia. La rifinitura prevede che, tolta dal piatto, venga salata in salamoia e lasciata asciugare per un giorno o due. Ne esce un prodotto dai tratti caratteristici, molto apprezzato da chi ne scopre le diverse qualità, tanto che uno dei più raffinati specialisti del caciouniverso, Alberto Marcomini, ha scritto della vastedda che è uno dei dieci migliori pecorini nazionali, unico siciliano tra i cugini delle altre regioni.


Versatile in cucina,la vastedda ha notevoli proprietà nutrizionali

Il formaggio siciliano Vastedda al vertice anche per le proprietà nutrizionali. Grazie alla sua particolare lavorazione, è ricca di proteine, vitamine e sali minerali. Il dilavamento del grasso, durante il processo di filatura della pasta, consente un aumento percentuale delle proteine. Per questo motivo essa è dotata di una spiccata leggerezza e una conseguente maggiore digeribilità. Particolarmente indicata, quindi, per persone anziane o che debbano seguire un regime dietetico ipocalorico.


Versatile in cucina, dove si presta a svariate preparazioni, una per tutte una golosa insalata… alla pecorina.

Vastedda aveva bucato lo schermo con Renzo Arbore, nella divertente corrida televisiva di “Quelli della notte”. Suo il risotto mantecato alla vastedda con melagrana, limone e scorza d’arancia. è un cacio in grado di interpretare anche altri ruoli. Eccola con il pani cunzatu, assieme a filetti di acciuga e pomodoro a dadini. Vi è poi la vastedda alla Caterina, una rivisitazione della più classica caprese, dove va a sostituire la mozzarella. L’abbinamento pesce e formaggi è considerato spesso un azzardo, ma si può vincere la scommessa con le cotolette di pesce spada “cremate” al forno da vastedda conseguente. Non poteva mancare la pizza, con testimonial Ciccio Sultano, prestigioso stellato di Ragusa Ibla, che la propone con acciughe e limoni.


Goloso ingrediente nelle pappardelle con zucca, gamberetti e mandorle tostate e ci sta pure con il baccalà “a sfincione”, classico palermitano rivisitato per l’occasione. Intrigante con il maialino dei Nebrodi, sotto forma di involtini e umori di arancia. Usata anche nel dessert, con una originale bavarese. Tuttavia attenzione, perché non va dimenticato che vastedda fa rima anche con focaccia, quella originale da cui si dice abbia preso il nome. Che, a sua volta, si declina in diverse varianti, ma stavolta senza la cugina acquisita, quella nata “per caso” da una partita irrancidita di latte ovino.



L'articolo in lingua ungherese QUI

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