Profumate e sapide salse
Arricchiscono numerose preparazioni regionali
Le salse sono intingoli salati, cibrei, ragù, semplici sali minerali che si usano per insaporire e profumare i cibi (carni, pesci, paste e verdure). La loro storia è millenaria, avendo avuto origine quando l’uomo ha imparato a fare uso del sale.
I cristalli bianchi che affioravano a seguito dell’evaporazione dell’acqua salmastra, cosparsi sulle carni arrostite, conferivano loro un sapore più ricco e gradevole.
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La prima salsa è stata proprio il semplice sale. Sappiamo che già gli Egizi lo utilizzavano riservandone l’uso al solo faraone e alla sua corte.
Non risulta, almeno dalle fonti a noi note, che i Greci conoscessero particolari salse.
Omero, in particolare nell’Odissea, descrive banchetti dove venivano servite soprattutto carni arrostite di maiale e di bue, stranamente cosparse di “bianca farina”.
I Romani, fino a tutta l’era repubblicana, adottarono un’alimentazione molto semplice e frugale. Solo il vino fu il nuovo protagonista della loro tavola: al Cecubo e al Falerno si aggiunsero i vini greci e di Cipro che Cicerone si vantava di preferire.
In epoca imperiale, la tavola dei Romani si fa ricca di innovazione e creatività
È solo nell’epoca imperiale che la tavola dei Romani si fa ricca di innovazione e creatività.
Tutto ciò si deve soprattutto ad Apicio, il grande gourmet romano autore del primo ricettario, il De re coquinaria, una ricca raccolta di ricette corredate da una miriade di salse fra le quali ne
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appare una che fa da motivo dominante per tutte le altre. Si tratta di una salsa di pesci messi sotto sale e fatti fermentare con tutte le interiora fino a ottenere un liquido scuro dall’odore molto marcato, non gradito a tutti.
Si tratta del garum e delle sue sottospecie note come liquamen e allec. Tale salsa aveva principalmente lo scopo di sostituire il sale.
Dalle salse rinascimentali a quelle che sono alla base della moderna gastronomia
Facendo un salto nel tempo, e arrivando al XV e XVI secolo, ci troviamo nell’epoca dei grandi cuochi rinascimentali: il Platina, Bartolomeo Stefani, il Messisbugo. La cucina riprende il ruolo di primo piano con lo scopo di sostituire il sale, anzi l’indirizzo è di addolcire le carni, i pesci, le verdure conservate sotto sale e ancora intrise di questo minerale composto.
Le salse rinascimentali nascono all’insegna dell’uso delle spezie, il cui mercato si era aperto già con le Crociate, con l’utilizzo frequente del pepe.
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Vengono confezionate pietanze con pane tritato e pepe, cotte lungamente nel brodo o nel vino, condite con midollo estratto dalle ossa.
Nasce una miriade di salse molto simili tra loro. Ne sopravvive una sola che giunge trionfalmente ai nostri giorni nel Veronese: la pearà.
Nei successivi secoli XVII e XVIII le cose cambiano ancora; siamo nel periodo delle sperimentazioni affrontate nel campo della razionalità.
Il terreno dove si sviluppa la ricerca è la Francia all’epoca dei re Luigi XIV e XV.
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In questo periodo vedono la luce due salse che costituiscono la base della moderna gastronomia: la besciamella e la maionese, cui successivamente si aggiungono: l’olandese (emulsione di tuorlo d’uovo e burro chiarificati con succo di limone, sale e pepe);
la vellutata (un fondo bianco legato da un roux rigorosamente bianco); la spagnola (fondo bruno legato con un roux), salsa di pomodoro.
Nel variopinto panorama regionale italiano
In ogni parte della Penisola nascono salse caratteristiche dei luoghi che li connotano. Ecco le principali: in Piemonte, tipica regione di entroterra, si rende famosa una salsa marinara: la bagnacauda, formata da acciughe, aglio e olio.

Interessante è la sua origine che si richiama alla fuga degli Albigesi, tacciati di eresia e incalzati dallo spietato comandante papale Simon di Monfort, nel 1207, dalla città di Albia seguito della cruenta Crociata promossa da Papa Innocenzo III. Gli Albigesi, in Piemonte, mantennero le loro abitudini di uomini di mare dediti alla pesca;
essi talvolta scendevano a pescare e riportavano il pesce che poi conservavano in barile sotto sale. Così i Piemontesi iniziarono ad apprezzare il pesce e con un po’di fantasia inventarono una salsa marinara.
Dal pesto ligure con il suo profumo intenso e caratteristico, arriviamo in Veneto, dove s’incontra una salsa atta a conservare i piccoli pesci fritti: il saor.
In Emilia, Reggio e Modena si contendono un balsamo ottenuto per lentissima acetificazione di mosto cotto derivante da uve di vitigni autoctoni: è l’aceto balsamico a invecchiamento anche secolare in botticelle di legno pregiato.
Non dimentichiamo i ragù: da quello napoletano, di memoria angioina, al sapido e fragrante ragù bolognese.
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Trionfa su tutte la salsa per antonomasia che non ha bisogno di appellativi: la salsa e basta!
È naturalmente la salsa di pomodoro che ha reso celebri in tutto il mondo gli spaghetti e la pizza.
A conclusione di questa breve rassegna delle salse del mondo occidentale, va menzionato il peperoncino,
che dal Messico ha attraversato i continenti in un lungo viaggio, generando, tra l’altro,
insieme all’aceto, una salsa ormai diffusa ovunque ora denominata “Tabasco”.
Alberto Tibaldi
Articolo pubblicato nella rivista ufficiale dell'Accademia Italiana della Cucina, Civiltà della tavola, febbraio 2023.
Tradotto in lingua ungherese ed illustrato da Ilona Dávid.
Per la versione ungherese cliccare QUI
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