L’arte di decidere il menu I. A menü összeállítása művészete
L’arte di decidere il menu
Non basta cucinare bene. Occorre anche sapere accostare i piatti con criterio, usare ingredienti sani e dimostrarsi corretti verso l'ambiente
La mia casa è meta di un delizioso viavai di amici, tutti dotati di un appetito formidabile. In compenso, sono ben pochi quelli che mi invitano a mangiare a casa loro. Temono il mio giudizio e fanno male. Perché il piacere di stare insieme smorza sempre le mie intemperanze critiche. E poi non entro mai a casa della gente con le aspettative di chi mette piede in un ristorante stellato. I miei amici temono anche che scriva di quanto abbia mangiato male a casa loro, e in questo caso fanno bene. Purtroppo, chi scrive per mestiere non esita mai a sfruttare a fini professionali quello che gli succede nella vita. La colpa è della voglia di raccontare, che da una parte aguzza la memoria e dall'altra è un vero e proprio fiore di loto che fa dimenticare discrezione e lealtà. Ma è colpa nostra se la realtà è sempre più incredibile e affascinante dell'invenzione? Desidero comunque tranquillizzare quei pochi che intendono ancora farmi sedere alla loro tavola: mi asterrò sempre da qualsiasi riferimento alla vostra identità nel caso mi abbiate sottoposto a un pasto di sofferenze. Amici miei, vi giuro che sarete gli unici a riconoscervi. Lasciatemi scrivere dei vostri errori, nessuno saprà chi siete e io potrò rimediare al peccato di menzogna che sempre commetto quando mi chiedete "Com'è?" E vi rispondo sempre "Ottimo!".
E veniamo a uno dei pranzi più irritanti che mi sia stato proposto recentemente a casa di nuovi, e da questo momento forse già perduti, amici. Irritante non cattivo. Perché prese una alla volta le portate erano buone, ma è bastata la loro errata sequenza e gli accostamenti sbagliati fra un piatto e l'altro per rovinarlo senza rimedio. Sapete cos'era l'antipasto? Reggetevi forte: "harengs à la russe", cioè aringhe affumicate su un letto di patate lessate e tiepide condite con olio, aceto e cerchi di cipolla cruda. Un piatto eccellente se mangiato da solo o come secondo, ma improponibile come antipasto. Con il suo gusto potente di salato e affumicato, l'aringa sarebbe capace di stordire per dodici ore anche le papille gustative di acciaio di Superman. "Ma cosa mi daranno di primo?" - pensavo mandando giù le aringhe - "per sentire un sapore a questo punto la scelta è ridotta al minimo: o ci sarà un gulasch atomico o passeranno direttamente a un falò". Invece arrivò un innocente, candido risotto agli scampi, saporito (dopo le aringhe) quanto un bicchiere di acqua minerale senza gas. Anzi no, sapeva di qualcosa. Di budino di riso al latte senza zucchero e cucinato in un tegame sporco di pesce.
I misfatti continuarono con delicatissime sogliole alla mugnaia (cioè semplicemente saltate al burro) aggredite da piccoli quanto prepotenti cavoletti di Bruxelles per nulla ammansiti da una timida copertura di bechamèl. Un alcolicissimo sorbetto al limone e vodka cercò, senza riuscirci, di farmi dimenticare quella cena. Un vero peccato. Perché a parte il sorbetto che avrebbe steso un cosacco, quei piatti non dovevano essere male se accostati in altro ordine e con altri contorni.
Guardando la padrona di casa, poi, la mia rabbia cresceva. Era molto elegante e la sapienza con cui aveva accostato i colori dei suoi vestiti mi irritava. "Perché i colori sì e i sapori no?", mi chiedevo. "Chissà quanta cura ci ha messo ad abbinare il vestito con i gioielli e la cintura alle scarpe e guarda invece come ha raffazzonato i piatti fra loro".
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Nem elég csak jól tudni főzni. Még szükséges jól tudni összerakni az ételfogásokat, egészséges hozzávalókat használni és megfelelő hozzáállást tanusítani a környezettel kapcsolatosan.
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